Di che si tratta?
L’agente eziologico che causa la tubercolosi è un bacillo appartenete a Mycobacterium tubercolosis complex che colonizza principalmente il tessuto polmonare, ma può diffondere e coinvolgere anche altri organi.
La tubercolosi è uno dei maggiori problemi sanitari a livello mondiale. Tale affermazione è supportata da statistiche allarmanti, infatti nel “Global tubercolosis report 2018”, redatto dall’OMS, viene riportato che circa 9 milioni di persone nel mondo nel 2013 hanno avuto una diagnosi di tubercolosi e che 1,5 milioni di pazienti sono morti per tale infezione, di cui 360 mila erano HIV sieropositive.
I paesi in cui se ne è osservato il maggior numero sono quelli in via di sviluppo, Africa e Asia principalmente e addirittura l’India e la Cina presentano, rispettivamente, il 24% e l’11% dei casi totali. A partire dagli anni ’90 anche nei paesi industrializzati il numero di nuovi casi di tubercolosi è progressivamente aumentato, ma negli ultimi anni si è via via stabilizzato ed è rimasto praticamente invariato.
La causa di questo incremento deve essere additata all’aumento del fenomeno immigratorio dai paesi ad alta prevalenza di tubercolosi, alla diffusione dell’HIV, alla tossicodipendenza e anche alla crescente problematica della povertà urbana.
Come si contrae?
La via di trasmissione di tale malattia infettiva è quella aerea, quando cioè il soggetto respira goccioline di saliva emesse da una persona infetta da tubercolosi polmonare attraverso tosse, starnuti o semplicemente parlando. All’interno di tali goccioline di saliva, infatti, vi sono i nuclei infettanti di M. tebercolosis e ad ogni colpo di tosse possono essere trasmessi fino a 3000 nuclei, ma ne bastano decisamente di meno per innescare una nuova infezione.
Le goccioline più sono piccole di diametro e più rimangono sospese nell’aria anche per diverse ore; quelle più grandi invece si essiccano velocemente.
I primi focolai di infezione si formano a livello polmonare creando la lesione tipica del “complesso primario”, molto raramente in siti extrapolmonari, i linfonodi, attraverso la cute, le mucose, intestino o orofaringe.
Il complesso primario tende a guarire spontaneamente in maniera asintomatica, in seguito alla rapida eliminazione dei batteri da parte del sistema immunitario dell’ospite, trasformandosi in un nodulo calcificato (complesso di Ghon). Solo nei bambini e nei pazienti con un sistema immunitario inefficacie la malattia tubercolare primaria può evolvere in manifestazioni cliniche gravi (tubercolosi miliare o meningite tubercolare).
Diversamente la riattivazione di una infezione latente, o malattia secondaria, si accompagna ad una manifestazione clinica aspecifica con tosse, perdita di peso, febbre e sudorazione notturna, ma anche ad una severa che può causare la morte del paziente se non debitamente trattato. In altri casi invece vi è una remissione spontanea, ma la malattia assume le caratteristiche di una cronicità latente progressivamente debilitante e in tale caso il paziente diventa una fonte inconsapevole di diffusione dell’infezione in quanto elimina continuamente nell’ambiente bacilli tubercolari.
Come si fa la diagnosi?
Sono varie le metodiche per la diagnosi differenziale di tubercolosi. Per quella polmonare la radiografia del torace è quella ottimale in quanto fornisce informazioni sulla severità e sull’estensione della patologia, ma anche per valutare la risposta al trattamento farmacologico.
Per la diagnosi definitiva, però, c’è bisogno dell’isolamento del batterio da un campione clinico del paziente che solitamente è l’espettorato.
Una malattia tubercolare latente può essere diagnosticata utilizzando:
- Test tubercolinico o Mantoux test che prevede l’iniezione sottocutanea di un derivato proteico purificato della tubercolina (PPD). Il test risulta positivo se tra le 48 e 72 ore si registra un’area di indurimento dal diametro pari o maggiore di 10mm nella sede dell’iniezione.
- IGRA test e sono due: QuantiFERON-TB Gold e il T-SPOT TB. Questi test sono molto più specifici di quello cutaneo e valutano, in vitro partendo dal sangue intero del paziente, la quantità di interferone-gamma rilasciato dai linfociti T quando entrano in contatto con una antigene tubercolare altamente specifico.
C'è una cura?
Si! La terapia prevede la somministrazione per via orale di 4 farmaci chemioterapici: isoniazide, rifampicina, etambutolo e pirazinamide. Tali farmaci risultano molto efficaci e ben tollerati dal paziente.
Un uso improprio degli antibiotici però può favorire l’insorgenza del fenomeno della farmaco-resistenza comportando l’adozione di strategia terapeutiche meno ottimali con farmaci più costosi, più tossici e meno efficaci del trattamento standard.
Come si previene?
La principale forma di prevenzione è l’identificazione dei casi in maniera precoce con l’isolamento e il trattamento del paziente fino alla completa perdita della contagiosità e alla guarigione.
Particolari categorie di soggetti sono più a rischio di infezione rispetto ad altre, come nel caso gli anziani, gli HIV-positivi, gli immigrati o individui in condizioni di particolare disagio sociale o di emarginazione, oppure nel caso di soggetti con immunosoppressione o che hanno avuto un contatto stretto con pazienti con tubercolosi infettiva. Tali pazienti possono usufruire del trattamento farmacologico di profilassi. Inoltre è disponibile un vaccino derivato dal bacillo di un ceppo attenuato di M. bovis chiamato bacillo di Calmette-Guérin (BCG). La somministrazione di tale vaccino è raccomandata in tutti i bambini subito dopo la nascita nei Paesi in cui la tubercolosi è ad alta prevalenza.
Linee guida
Linee-guida-trattamentotubercolosi-WHO_2020.pdf