Silvia Guerriero

Epidemiologia che cambia

Nei miei anni universitari avevo un metodo di studio preciso: sottolineavo con colori diversi le differenti tipologie di informazioni contenute in un testo. La clinica in rosa pesca, la diagnosi in arancione, i meccanismi fisiopatologici in blu. Il colore che usavo tendenzialmente di meno era il verde chiaro, quello destinato all’epidemiologia – poche frasi all’inizio di ogni capitolo, informazioni il cui peso specifico era inferiore rispetto a quello delle percentuali di frequenza dei vari sintomi.

Elenchi di Paesi, di posti a me sconosciuti, sciorinati allo stesso modo della barbabietola da zucchero durante le interrogazioni di geografia – Sud-Est-Asiatico, Africa-Sub-Sahariana, America-del-Sud, Zona-dei-Grandi-Laghi.

È stato solo a fine percorso, prima ancora di passare alla vita da medico, che ho iniziato a farmi delle domande sul loro peso effettivo. Con la Pandemia di COVID, con le incidenze riportate al telegiornale giorno per giorno, con i flussi migratori degli ignari Pazienti Zero indagati nel dettaglio, con la chiusura delle dogane, dei porti, degli aeroporti – con tutto questo ho iniziato a capire quanto grande ed interconnesso sia effettivamente il mondo.

Lavorare nell’ambito delle Malattie Infettive significa avere a che fare con molti più dati epidemiologici di quel che si potrebbe pensare: ogni patogeno ha il suo habitat preferenziale, in cui crescere, svilupparsi e resistere. Ogni Paese ha la propria epidemiologia complessa, che tiene conto di varianti sociali, economiche e culturali che si riflettono sulle presentazioni cliniche e sui tassi di sopravvivenza. Le informazioni da evidenziare in verde si moltiplicano, si riempiono di numerose sottospecifiche.

E poi, si mescolano.

Perché l’epidemiologia non è più una questione statica – forse non lo è mai stata, ma di certo negli ultimi anni ha dato ancor più prova di questo lato di sé. Le persone si spostano, migrano, viaggiano, fuggono da Paesi in guerra o da destini più grandi di loro – ed ogni spostamento inserisce fili in una trama già intricata, finché il disegno originario diventa indistinguibile. Cambia il clima, cambiano le temperature, cambiano i vettori che trasportano al loro interno piccoli pericolosi patogeni. Cambiano l’economia, le strutture, gli ospedali, i farmaci a disposizione.

E cambiano così anche le malattie.

Il COVID è stato emblematico, ma non è stato la prima patologia a mostrarsi nelle sue capacità di mutare e viaggiare più velocemente del previsto. La storia delle Malattie Infettive – che poi è anche la storia del mondo – è ricca di malattie che non avrebbero dovuto essere là dove sono state trovate.

Nel 2017, oltre 400 casi di Chikungunya hanno infiammato alcuni quartieri di Roma.

Nel 2024 in Italia si sono accesi i riflettori sulla Dengue, sui casi non più solo d’importazione che hanno dilagato nel Lazio, nelle Marche, in Emilia-Romagna.

Nel 2025 è stato poi il turno della West Nile, con casi autoctoni nel basso Lazio a riaccendere lo sconcerto.

In tutti questi casi sono apparsi cartelli d’informazione negli aeroporti, sono schizzate le vendite di spray repellenti, si sono riempite le bocche di specie di zanzare apparentemente impronunciabili.

Questi eventi mediatici, però, sono solo la punta dell’iceberg. Si consumano, infatti, sotto la superficie, tutta una serie di ulteriori modifiche epidemiologiche che non riguardano solo la comparsa di casi autoctoni di malattie tropicali.

Basta pensare all’allarmante aumento dei tassi di antibioticoresistenza in sempre più Paesi, in un’epidemia silenziosa che si diffonde più rapidamente di quel che si creda, tra batteri più e meno conosciuti.

Ma non solo – i cambiamenti epidemiologici non riguardano solo ciò che viene portato da una parte all’altra, o ciò che si sviluppa spontaneamente: c’è tutto un problema riguardante ciò che si trova all’arrivo. Malattie all’apparenza banali, o per cui esistono vaccini efficaci alle nostre latitudini possono diventare letali o manifestarsi in età diverse da quelle a cui siamo abituati ad osservarle – creando problemi diagnostici e terapeutici non indifferenti.

Le “barriere geografiche” storiche si sgretolano allora, con una tendenza sempre maggiore alla confluenza. Rimane rilevante l’importanza della storia dei singoli, della provenienza geografica, ma non basta più a spiegare un quadro clinico. Ci si ammala di più, e ci si ammala in modo diverso rispetto ad anche solo dieci anni fa.

Cosa rimane, allora, della categoria “epidemiologia” dei nostri libri di testo? Continua ad avere valore, indubbiamente. Continua ad insegnarci a vedere il mondo in modo critico e curioso al tempo stesso, ad analizzare le tendenze e i fattori di rischio – ci insegna a chiederci il perché dietro a ciò che si modifica e cambia. Non si tratta più, però, di un mondo da intendere secondo uno schema fisso, quanto piuttosto di uno colorato da flussi intensi e mutevoli. È cruciale che, come medici, impariamo ad intendere la realtà della salute come globale, a mantenere una mentalità dinamica, a interessarci dei cambiamenti che avvengono nel mondo.

Perché ciò che accade qui, domani avrà conseguenze dall’altra parte del mondo.


Silvia Guerriero
Medico Specialista in Malattie Infettive
Università Cattolica del Sacro Cuore
Fondazione Policlinico “A. Gemelli”, IRCCS, Roma